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Cronaca Marcianise

CAMORRA La furia di Belforte in cella: "Si possono sbattere quanto vogliono, io non parlo"

Il fatto emerge dai verbali di un altro collaboratore di giustizia

“Lui era ossessionato. Era convinto che per una ripicca del magistrato era stato accusato ingiustamente di non dire la verità sulla sparizione dell’amante di suo fratello Domenico”. E’ il collaboratore di giustizia Vincenzo D’Ambrosio a raccontare ai magistrati della Dda alcuni comportamenti tenuti in carcere da Salvatore Belforte, capo dell’omonimo clan di Marcianise, diventato ex collaboratore di giustizia proprio perchè secondo i magistrati antimafia non ha raccontato la verità sulla scomparsa di Angela Gentile, avvenuta nel 1991.

“Belforte - aggiunge D’Ambrosio - diceva che i magistrati volevano fargli fare dichiarazioni false sulla scomparsa di questa ragazza. Lui diceva sempre che il fratello Domenico era ormai dissociato e che quindi ammetteva tutti gli omicidi che aveva commesso e che perciò avrebbe avuto il trentennale e sarebbe uscito. Io ho pensato che effettivamente Salvatore Belforte non aveva voluto accusare il fratello dell’omicidio di questa donna per non fargli perdere il trentennale. Soprattutto dopo che la cognata era stata messa prima agli arresti domiciliari e poi scarcerata. In particolare diceva: si possono sbatte quanto vogliono, ma io non dico nulla”.

Secondo la Dda è stata Maria Buttone, moglie del capoclan Domenico, la mandante dell’omicidio di Angela Gentile, mentre il marito ne sarebbe stato esecutore materiale. „La Gentile scomparve poi il 2 ottobre del 1991, senza lasciare traccia. Dopo aver accompagnato la figlia a scuola non andò mai a riprenderla, mentre i familiari ne denunciarono la scomparsa solo tre giorni dopo.

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