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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Patrimonio di conoscenza: tra vino e archeologia la riscoperta del territorio | I VIDEO

Presentato il progetto di valorizzazione delle terre del Massico attraverso le sue eccellenze

Nella sala conferenze del Museo Civico Archeologico “Biagio Greco” di Mondragone, dove la memoria si fa tesoro e custode di tutte le cose, è stato presentato, venerdì 23 novembre, un fine ambizioso ovvero la riscoperta di un territorio attraverso la sua storia e la sua caratterizzazione: “Patrimonio di Conoscenza” ne è la sintesi perfetta.

Si tratta di un progetto culturale che l’amministrazione comunale di Mondragone si è aggiudicato qualificandosi al sesto posto in graduatoria a livello nazionale e tra i primi Comuni della provincia di Caserta, co-finanziato dalla Regione Campania grazie alla destinazione di fondi attinenti alla innovazioni ed iniziative culturali e promozione territoriale. Voce narrante del percorso culturale ed eno-grastronomico è stata quella del giornalista, Pierluigi Benvenuti che ha spiegato che “l’obiettivo del progetto è riscoprire e valorizzare il patrimonio culturale della città di Mondragone ma anche dell’intero territorio del Falerno e delle Terre del Massico attraverso l’identità storica, culturale ed anche attraverso le risorse produttive come l’agricoltura e la produzione del vino Falerno. Un viaggio nel tempo che parte da lontano grazie ai rinvenimenti testimoniati dal Museo civico, promotore del progetto insieme all’Amministrazione , fino all’età contemporanea”. Nel corso della presentazione ci sono stati diversi momenti musicali degli alunni del Liceo Musicale Galileo Galilei.

A susseguirsi i saluti istituzionali del Sindaco, Virgilio Pacifico che si è detto soddisfatto “per essere riuscito grazie al contributo del consigliere regionale Giovanni Zannini, ad ottenere delle integrazioni alle scarse casse comunali per la realizzazione di progetti che coinvolgono il nostro territorio favorendo percorsi enogastronomici ed archeologici anche per mostrare la situazione degli scavi che da anni vengono compiuti alla Rocca di San Sebastiano, nella località Colombrella dove è stato rinvenuto il primo insediamento del vitigno del Falerno e quelli presso Montis Dragonis. Per fare in modo che il progetto fosse eterogeneo ci siamo rivolti alle Istituzioni Scolastiche che hanno mostrato grande sensibilità al tema”.

Un entusiasmo per un grande risultato conseguito che è stato sottolineato da un entusiasta Zannini che si è soffermato su come occorra "imparare a ragionare in termini di finanziamenti regionali ed europei indispensabili per valorizzare un territorio. Io sono orgoglioso che il Comune di Mondragone si è aggiudicato questo bando posizionandosi tra i primi Comuni Casertani in gara. Alcuni Comuni neppure avevano capito le vere finalità del bando e perciò sono stati esclusi”.

A testimonianza del profondo legame tra storia ed il territorio la parola è passata alla Direttrice del Laboratorio di Restauro del Museo Civico Archeologico, Marianna Musella: "il progetto di conoscenza è un evento a carattere scientifico che è il primo di una serie di eventi in programma, ben sei che permettono di mostrare quello che in realtà Mondragone è passando attraverso un percorso archeologico già attivo nel territorio comunale da ben 15 anni attraverso le campagne di scavo resa oggetto di conoscenza alle future generazioni grazie a degli incontri didattico- scientifici in base alla fasce d’età degli studenti partendo dalle scuole primarie per avvicinarli alla conoscenza dei manufatti archeologici preistorici romani e medievali conservati presso il museo. Si tratta di un progetto articolato dove anche altre forme di cultura testimoniano i legami con la terra come mostre fotografiche e percorsi enogastronomici”.

Delle memorie di una risorsa così pregiata ed antica come il vino Falerno non potevano che farsene portavoce l’agronomo Giovanni Fontaniello; l’ enologo e fiduciario presidio Slow Food del Volturno, Vincenzo Coppola ed il sommelier delegato FISAR Caserta, Mariano Pensa. La gestione e la coltivazione della vite è stata introdotta dall’agronomo Fontaniello. "Per fare un buon Falerno occorre fare una corretta gestione del vigneto per capire come usare l’uva che produce il magico Falerno la cui storia è antica - ha detto Fontaniello - Il Falerno venne introdotto in questo territorio dai Greci che diedero il primo impulso alla coltivazione della vite nell’ager falernus poi seguirono gli Etruschi ed i Romani che diedero, quest’ultimi maggior lustro alla coltivazione. I primi insegnamenti sulle tecniche di coltivazione della vite si ebbero grazie agli agronomi del tempo come Columella e Varrone. La rinascita del Falerno la si ebbe effettivamente nel 1989 con l’istituzione della denominazione ‘Doc Falerno del Massico’ anche grazie ad alcune famiglie del territorio come la famiglia Vallone o la famiglia MoJo. I Comuni interessati dalla denominazione ‘Doc’ sono cinque ovvero Falciano del Massico, Mondragone, Carinola, Sessa Aurunca, Cellole. Per far sì che si abbia una buona produzione occorre partire da un buona scelta dell’impianto che va da un buon terreno, scevro da ristagni idrici ad una corretta concimazione del fondo soggetta anche ad accurate analisi chimico-fisiche. Passando poi per la densità dell’impianto non inferiore alle 3.500 piante per ettaro e la forma dell’allevamento non espansa per non compromettere la qualità della raccolta.La gestione del vigneto è articolata in gestione della chioma della vite, nutrizione, gestione idrica, difesa dell’allevamento dai parassiti vegetali e malattie ed infine la raccolta”.

L’enologo Vinvenzo Coppola si è occupato dell’illustrazione della fermentazione e le biodiversità vitivinicole: “In Campania si conserva un valore inestimabile cioè la presenza di generazioni che conservano i semi. Infatti il Primitivo altro non è che una varietà autoctona che si è ben conservata. Eppure Le multinazionali non vogliono che questo accada a favore dell’omologazione ed è proprio questo che rischia di far sopperire la biodiversità, la diversificazione genetica che è ben conservata proprio nel vino. Il compito dell’enologo è quello di controllare la fermentazione di un vino rispondendo alle esigenze gestionali di un’etichetta. La fermentazione nasce dall’incontro tra i lieviti presenti sulla superficie di un acino d’una ed il succo contenuto all’interno. Dopo la pigiatura questi elementi entrano in contatto dove i lieviti si nutrono degli zuccheri di cui la polpa è ricca e si ha quindi la fermentazione. Se vengono adoperati lieviti sintetici si perde la caratterizzazione di un territorio, l’eterogeneità di una particolare etichetta rispetto ad un’altra perché rispecchia quel determinato territorio d’origine”.

Il sommelier Mariano Pensa ha esemplificato il percorso sensoriale che sta alla base della degustazione di un buon vino: “Dietro ad un’etichetta non c’è un semplice liquido che si beve ma la storia di un popolo e di un territorio. Si chiama analisi sensoriale perché si usano i sensi ossia la vista, l’olfatto, il gusto, il tatto. Usando la vista si riesce a capire molto di un vino ad esempio analizzando il colore considerando un vino a bacca bianca, dalla tonalità di giallo paglierino con riflessi verdastri o tendenti all’oro si può stabilire se sia stato vendemmiato primo o dopo. Si può capire se è impuro. Usando l’olfatto si percepisce l’aroma. Ci sono ter classificazioni di aromi cioè i primari che indicano i sentori di frutta; i secondari che si riferiscono ai sentori della fermentazione e quindi della nota alcolica ed i terziari che sono i sentori avutisi dal processo di raffinazione e quindi si riferiscono ai legni delle botti dove è contenuto il vino che imprimono una loro impronta. Sorseggiando il vino inevitabilmente si ha la percezione del gusto dove la lingua registra ogni aroma in modo diverso a seconda del particolare grado di percezione che ognuno ha al dolce, amaro, acido, salato. Si parla anche di tatto in un’analisi sensoriale perché ci sono particolari vini con strutture così corpose che si rendono tattili, che si ha la percezione che vengano masticati. C’è poi l’analisi retrolfattiva dove il senso del gusto e dell’olfatto si amplificano. Il compito del sommelier è quello di essere da tramite tra il produttore ed il consumatore finale guidandolo alla consapevolezza del bere bene”.

Il vero senso del patrimonio della conoscenza è la consapevolezza di compiere un viaggio; fatto attraverso le impronte che una terra ha lasciato alle sue spalle che contano tanto quanto il percorso che si segue perché fanno parte della particolare storia di ognuno.

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