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La mamma di Maria: “Amore tra poco avremo la verità”

Rosaria Mastroianni ha fatto affiggere nuovi manifesti a pochi giorni dalla sentenza per i medici accusati di aver causato la morte della ragazza 36enne

Un lungo viaggio per avere giustizia. E che tra qualche giorno darà una prima risposta a Rosaria Mastroianni, la mamma di Maria Ammirati morta nel 2012 all’età di 36 anni mentre era in attesa del suo primo figlio. Rosaria, in questi sei anni, non ha mai perso la speranza di avere giustizia ed ha sempre cercato di non far dimenticare sua figlia, morta, secondo la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vedere, per la negligenza di sette medici degli ospedali di Caserta e Marcianise che oggi rischiano una condanna a 4 anni a testa. Ed a poche ore dalla sentenza, Rosaria Mastroianni ha lanciato un altro appello, con un manifesto fatto affiggere a Caserta nel quale c’è scritto: “Amore tra poco avremo la verità. Chiedo giustizia”.

Dall'amniocentesi alla morte

L’odissea di Maria Ammirati parte, secondo la ricostruzione della Procura, dal 14 giugno del 2012 quando la ragazza si reca dal proprio ginecologo di fiducia per un intervento di amniocentesi in seguito al quale la donna inizia a soffrire di forti dolori addominali. Sintomi che la spingono a recarsi all'ospedale di Caserta dove le viene diagnosticata una colica renale venendo così dimessa. I dolori proseguono e così la giovane contatta il suo ginecologo che "senza visitarla - ha detto il pm - conferma subitamente la diagnosi e le prescrive dello Spasmex". Il giorno successivo Maria si reca all'ospedale di Marcianise dove "finalmente viene acclarata la perdita di liquido amniotico e la morte del feto". L'infezione provoca nella donna una neuropenia (carenza di globuli bianchi) che i medici associano ad una presunta leucemia. Una patologia non curabile a Marcianise e così la giovane firma le dimissioni dall'ospedale e si reca nuovamente all'ospedale di Caserta dove arriva alle 20,15, in condizioni già gravissime. Secondo il pm nelle due strutture "erano consapevoli dell'intervento di amniocentesi ma diagnosticano prima una colica renale, poi una presunta leucemia. Se avessero fatto immediatamente una cura antibiotica e svuotato l'utero della donna dal feto morto probabilmente avrebbero salvato la vita della ragazza. Si tratta di strutture pubbliche, di ospedali di tutti e di professionisti. Non è possibile - ha tuonato il pm - che nessuno abbia associato lo stato della donna all'intervento di amniocentesi, non è possibile che anche con una diagnosi di colica renale, una diagnosi aberrante, su una donna in stato di gravidanza che lamenta dolori addominali non siano stati fatti approfondimenti".

I medici sotto accusa

Inoltre, sempre secondo la Procura, anche al secondo arrivo all'ospedale di Caserta "non è stato fatto ciò che andava fatto: svuotare l'utero e dare antibiotici nonostante Maria abbia comunicato ai medici tutti gli elementi per comprendere la situazione". Per il pm Regine (che ha chiesto la condanna di Nicola Pagano, Maria Tamburro, Maria Golino, Luigi Vitale, Carmen Luigia De Falco, Andrea Fusco e Pasquale Parisi) sussiste "il nesso causale tra la negligenza dei medici e la morte della ragazza e non sono convincenti le cause alternative addotte dalla difesa. Lo dimostra il fatto che quello che andava fatto è stato fatto con colpevole ritardo. La ragazza andava liberato dal feto che era l'epicentro dell'infezione. Arriva in ospedale alle 20,15 e viene sottoposta ad una prima visita ginecologica alle 2,30. Materialmente l'espulsione del feto morto viene fatta alle 5,30 prima dell'intervento chirurgico che poi ha avuto un esito infausto. La superficialità di tutti i medici ha causato la morte”.

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