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Landolfi 'revenant': "Accusato da un pentito-jukebox che ha barattato la verità con la sua libertà"

L'ex ministro in conferenza parla dell'assoluzione dall'accusa di camorra ("era un macigno") e della condanna a 2 anni per corruzione: "In Italia accadono cose strane..."

“Io sono qui oggi per difendere una storia, personale e politica”. Mario Landolfi ha aperto così la conferenza stampa convocata dopo la condanna a 2 anni per corruzione nel processo stralcio ‘Eco 4’ (con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario) che lo ha visto, però, uscito assolto dall’accusa più dura, quella di aver agevolato la camorra. Accompagnato dal suo avvocato Michele Sarno, l’ex ministro di Mondragone non ha lesinato duri attacchi che hanno avuto come obiettivo centrali il suo grande accusatore, Giuseppe Valente, ed i “delinquenti in divisa” che “con le loro annotazioni hanno spinto la Procura a sbagliare”.

“Espulso come un calcolo renale dalla politica per questa inchiesta”

Landoli ha spiegato i motivi della conferenza stampa: “Sono stato l’ultimo ministro che ha avuto la provincia di Caserta ed ho avuto incarichi importanti a livello nazionale e se non lo faccio più, se sono stato espulso come un calcolo renale, è sulla scorta di una inchiesta che era stata avviata nei miei danni. Questo non è uno sfogo dell’imputato dopo una sentenza che, per molti aspetti, fa chiarezza e che mi ha liberato del macigno di essere colluso con la camorra. Io sono cresciuto a pane e carabinieri ed ho vissuto male in questi anni, così come la mia famiglia (presente all'Hotel dei Cavalieri a Caserta per la conferenza, nda), anche se nel corso degli anni ho dovuto modificato la mia impostazione, soprattutto sull’avere fiducia in alcuni apparati. Naturalmente non sono contento della condanna a due anni, seppur con tutte le delicatezze contenute nella sentenza, come la pena sospesa e la non menzione nel casellario giudiziario. Sono tutti elementi che stanno ad indicare una assoluzione piena mascherata”. 

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I 23 ‘non ricordo’ di Valente: “Ha barattato la verità con la sua libertà” 

Per l’ex ministro “in Italia accadono cose molto strane. I giudici che mi hanno condannato, dopo 6 ore di camera di consiglio, hanno ritenuto di non aver ancora gli elementi per una sentenza ed hanno riconvocato il teste (Giuseppe Valente, nda), il quale, risentito, ha detto per 23 volte ‘non ricordo’ e 3 volte ‘non lo so’ in 30 pagine di verbale. Noi abbiamo certificato l’inattendibilità del teste: io sono stato da un bugiardo ed inattendibile delinquente che ha barattato la verità con la propria libertà. E’ un camaleonte che cambia colore a seconda del processo a cui si trova alla sbarra. La sentenza - aggiunge - è un compromesso perché la politica della corporazione giudiziaria non può prevedere che un teste poi vada a demolire altri processi. Ma questa non è la giustizia amministrata in nome del popolo italiano, che non prevede ragionamenti politici. A fronte di una tesi manifestamente infondata, si ragiona secondo la convivenza della corporazione giudiziaria. Valente non è il mio unico accusatore: lui aderisce ad un teorema accusatorio. Io sono indagato nel 2007, lui si pente nel 2014. Valente è come un jukebox: ha scritto una canzone per ogni pentimento, dicendo tutto ed il contrario di tutto”. 

“Una indagine contro di me”. E cita i casi Del Gaudio e Magliocca

Landolfi ha una sua idea ben chiara su ciò che è accaduto e per lui i ‘colpevoli’ dell’indagine “contro di me, non su di me” sottolinea “sono quei delinquenti in divisa che hanno annotato cose false e le hanno rappresentate attraverso salti logici” sottolineando come poi, la Procura, “non abbia potuto fare altro che seguire l’indagine per come gli era stata proposta”. L’ex esponente di Alleanza Nazioknale, ammette di essersi sentito “schiacciato dallo Stato che non sembra interessato alla verità. Non basta dire ‘la legge uguale per tutti’, servono ‘indagini uguali per tutti’. Nelle motivazioni, molto probabilmente, leggeremo che io sono stato condannato perché non potevo non sapere. Eppure c’era chi, come Antonio Bassolino, firmava gli atti ma lui poteva non sapere visto che non è stato mai indagato”. E poi cita due casi emblematici della provincia di Caserta, che hanno riguardato altri due esponenti di primo piano del centrodestra: “Mi viene in mente ciò che è accaduto a Pio Del Gaudio, sindaco di Caserta, arrestato come Al Capone; oppure a Giorgio Magliocca (ex sindaco di Pignataro, oggi presidente della Provincia di Caserta, nda) che ha fatto 11 anni di carcere prima di essere assolto, sulla scorta di una denuncia fatta da un suo avversario politico”. E chiosa: “Questi episodi scavano un solco nella mente dei cittadini. Io oggi mi sento un ‘revenant’ e dopo 12 anni in apnea torno e trovo il tema della giustizia centrale, incombente ed irrisolto al centro della discussione politica. Io spero che questo mio ‘processo dimenticato’ serva per aprire una riflessione seria sulla necessità di rivedere tutto il sistema giustizia”.

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