'Le memorie di Ivan Karamazov' in scena al Parravano
La Compagnia Umberto Orsini presenta 'Le memorie di Ivan Karamazov' drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti dal romanzo di Fëdor M. Dostoevskij; scene Giacomo Andrico, costumi Daniele Gelsi; suono Alessandro Saviozzi, luci Carlo Pediani; assistente alla regia Francesco Martucci; regia Luca Micheletti.
L'appuntamento è fissato al Teatro Comunale parravano a Caserta dal 12 al 14 aprile.
Un percorso all’interno dell’ultimo e forse più grande romanzo di Fjodor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, che Umberto Orsini affronta per la terza volta nella sua carriera d’attore come una vera e propria linea guida e “cavallo di battaglia”. Dopo il fortunato sceneggiato televisivo di Bolchi e La leggenda del grande inquisitore, questo “nuovo Karamazov” è per Orsini l’occasione di confrontarsi direttamente con la complessità del personaggio più controverso e tormentato dell’intera epopea letteraria: Ivan Karamazov, il libero pensatore che teorizza l’amoralità del mondo e conduce forse consapevolmente all’omicidio l’assassino di suo padre. Ivan Karamazov, protagonista controverso e tormentato, colpevole e innocente insieme, ritorna a parlare, come un uomo ormai maturo che sente di non aver esaurito il suo compito, che sente il suo personaggio romanzesco troppo limitato per esprimere la complessità del suo pensiero e chiarire le esatte dinamiche dei “delitti” e dei castighi”. E così si confessa e cerca di raccontare la sua storia. Compila le sue memorie e tenta di fare luce sui propri sentimenti e sulla propria filosofia, provandosi a svelarne le implicazioni criminali in un vero e proprio thriller psicologico e morale il cui più alto vertice resta l’immaginario poema di Ivan che narra del confronto metaforico tra un Cristo ritornato sulla terra e un vecchio inquisitore che crede che Egli si meriti il rogo.
Nella ricchezza d’un linguaggio penetrante quanto immediato e nell’avvicendarsi degli stati psicologici d’un personaggio “amletico” e imprendibile, Umberto Orsini è il grande protagonista d’un inedito viaggio nell’umana coscienza che non teme di affrontare tabù antichi e moderni (la morte del padre, l’esasperato vitalismo, l’incontro con il diavolo…) precipitando Ivan Karamazov nel suo personale “sottosuolo” dal quale egli compone delle allucinate eppure lucidissime memorie, quarant’anni dopo le vicende del romanzo di Dostoevskij.
L’attore, accompagnato da una musica in stringente e fervido dialogo emotivo con le parole ch’egli pronuncia, dà luogo ad una straziata e commovente confessione a tu per tu con se stesso e con i propri fantasmi, a metà tra la finzione letteraria e il “pirandelliano” dissidio con un personaggio in cui ritrova le espressioni più oscure del proprio “io”. Note di regia - Ivan e il suo doppio Il cuore drammaturgico e registico di queste nostre Memorie di Ivan Karamazov è quello d’una sofferta e sibillina riflessione sull’identità. Assumendo il romanzo come nucleo mitologico “a monte”, ci siamo chiesti chi sia Ivan. Un personaggio, d’accordo. Ma anche l’incarnazione romanzesca di un nodo ideologico cruciale e, quindi, un alter ego dell’autore… Ivan è una creatura narrativa che, nonostante le diffuse connotazioni che lo descrivono e le molte pagine che Dostoevskij gli dedica, sfuma nell’imprendibile: è la maschera e il pretesto di logiche segrete, negate. È un protagonista che si sottrae alla centralità, individuo che si rifrange in una pluralità di riflessi cangianti, è un’invenzione sospesa, quasi incompiuta. Identità plurime e osmotiche, cui nel nostro caso se ne affiancano anche altre, di natura metateatrale. Sì, perché il nostro Ivan è anche un personaggio-ossessione, che accompagna cinquant’anni di carriera di un mirabile “capitan Achab” della nostra scena, un attore che insegue la sua balena enorme e veloce, la arpiona e si lascia trascinare… dapprima in uno sceneggiato-feticcio che la RAI manda in onda nel 1969, poi in diverse incursioni sottotraccia che sfociano in uno spettacolo sul solo “Grande Inquisitore” di un decennio fa, e ora in questo confronto a tu per tu con l’intera parabola romanzesca di Ivan, che è anche una personale ricapitolazione di luoghi e memorie. Ivan e Umberto, il personaggio e l’attore che lo incarna, osservano la loro storia, esplorano i loro ricordi, riascoltano le loro testimonianze a più voci (che sono poi sempre una sola, quella di Orsini, che risponde oggi alla sua voce di cinquant’anni fa… incredibile occasione!), celebrando un accorato e solitario processo di sincronizzazione interiore. Doestoevskij abbandona Ivan al suo destino dopo il processo per il parricidio: è sembrato interessante ripartire da lì, dal processo. Prigioniero di quell’aula, di un finale mai scritto, di una sentenza sbagliata, il nostro Ivan continua ad aggirarsi tra i frammenti della sua esistenza, osservati come prove materiali di fatti e memorie che riemergono a strappi, negli spazi di lucidità che gli concedono le febbri cerebrali, nel circolare affastellarsi di teorie e ricordi, in un girotondo giudiziario kafkiano e grottesco, sempre meno reale, che inesorabilmente scivola nell’ultraterreno.