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Grindhouse

(Cinema) Difficile ritorno per il regista Quentin Tarantino, dopo l’esplosione di linguaggi e sperimentazioni realizzate in Kill Bill, il regista americano riesce ancora una volta a sorprendere, stavolta non solo nei virtuosismi realizzati dalla...

(Cinema) Difficile ritorno per il regista Quentin Tarantino, dopo l’esplosione di linguaggi e sperimentazioni realizzate in Kill Bill, il regista americano riesce ancora una volta a sorprendere, stavolta non solo nei virtuosismi realizzati dalla macchina da presa, ma anche e soprattutto nella scelta dei contenuti. La narrazione di Grindhouse non viene esplicitata, nonostante la logorroicità dei personaggi, sembra quasi che la vera protagonista sia la parola, i dialoghi esasperanti ancora più che nelle opere precedenti. L’ultimo lavoro di Tarantino non solo conferma la distanza totale del cinema tarantiniano dal cinema hollywoodiano, ma ancor di più sembra offrire un omaggio al cinema classico. Dalle scritte, alla musica, ai costumi, tutto richiama un passato cinematografico che non diventa mai nostalgico, ma piuttosto sempre e comunque attuale, contemporaneo. Il regista porta in scena il backstage, quelle figure mai valutate dal dispositivo cinematografico, ma che rendono realizzabile una pellicola, gli stuntman. Stuntman Mike (Kurt Russell), uno stuntman in pensione e schizofrenico, con una serie di turbe sessuali, una cicatrice che gli copre il viso e soprattutto una macchina che incute timore. Il suo sguardo si posa su tre ragazze meravigliose, che amano ubriacarsi e prendersi gioco degli uomini che le corteggiano. In particolare Jungle Julia (Sydney Tamiia Poitier), una donna esuberante che attirerà le attenzioni di Mike in maniera ossessiva. I dettagli emergono dalla narrazione filmica, occhi, bocca, gambe, anche l’invio di un sms in primo piano, tutto per esasperare le immagini, per raccontare la realtà vivisezionandola. Eppure ciò che colpisce è la rappresentazione della figura femminile in una maniera davvero insolita, le donne come branco, che diventano delle serial killer, che riescono anche a ridurre l’uomo ad una vittima. Il trio della seconda parte del film in cui entra in scena la splendida Rosario Dawson e Zoe Bell, una stuntwoman che interpreta se stessa, che ha lavorato in Kill Bill. Film pensato per essere il primo episodio di una trilogia, di cui il secondo vedrà impegnato il regista Robert Rodriguez, in realtà già quest’opera contiene due episodi, che sembrano dividere il film in due parti. Ancora una volta il cinema di Tarantino ribalta i codici filmici, la cronologia, l’evoluzione, il genere, tutto viene sovvertito, sacrificato in nome della spettacolarità delle immagini. Un thriller che diventa una commedia, che a tratti sfocia nell’horror, generando un coinvolgimento totale dello spettatore, e lasciando l’amaro in bocca a chi cerca a tutti i costi una catalogazione. Il dietro le quinte che entra in scena, un omaggio a chi ha sempre lavorato rimanendo nell’ombra. Un film discreto che anche nella narrazione si limita a suggerimenti, stimoli di riflessione,senza mai definire, esplicitare. Ma ancora una volta il regista più rappresentativo del cinema contemporaneo ci stupisce. Dopo l’innegabile successo di Kill Bill, Tarantino rischia ancora, ma stavolta lo fa in maniera meno eclatante, affidando allo spettatore la possibilità di leggere tra le righe.

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