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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cultura

Gaslighting è la parola del 2022 ma in Italia se ne parla ancora poco

Il commento del "Collettivo Paula" sui numeri delle ricerche Google: "Associato alla violenza psicologica come da suo significato originario"

“Gaslighting” è la parola più diffusa del 2022. Lo rivela il prestigioso dizionario americano Merriam-Webster, sul cui sito, che vanta 100 milioni di consultazioni al mese, la ricerca è aumentata del 1.740% rispetto al 2021.

Cos’è il gaslighting?

Il termine gaslighting è usato per descrivere una delle forme più subdole e striscianti di violenza psicologia; il gaslighter mira al controllo e alla dipendenza della vittima attraverso un processo di manipolazione lento, costante e insidioso che la induce, con false informazioni, inganni e raggiri, a dubitare della propria capacità di giudizio, dei suoi ricordi, della percezione della realtà, fino a scardinarne l’autostima e, nei casi più gravi, farle credere di essere sull’orlo della follia.

L’origine della parola

Il termine fu introdotto, nel 1938, dall’inglese Patrick Hamilton nel dramma teatrale “Gas light”, dal quale furono tratti due film: il primo diretto da Thorold Dickinson, nel 1940, e il suo più celebre remake, “Gaslight”, nel 1944, dall’americano George Cukor, proiettato in Italia con il titolo “Angoscia”. Il thriller racconta la storia degli abusi psicologici di un marito, nei confronti della moglie Paula, interpretata da Ingrid Bergman. Per nascondere l’omicidio della zia di lei, l’uomo cerca di portare Paula alla follia usando diversi stratagemmi e costringendola a restare reclusa in casa. Tra questi, le fa credere che l’abbassamento delle luci a gas, “gaslighting”, per l’appunto, della loro residenza londinese fosse frutto della sua immaginazione; mentre, invece, era opera dalla perfida cameriera Nancy, interpretata da una giovanissima Angela Lansbury (“La signora in giallo”), al suo debutto al cinema, con la quale l’uomo aveva una relazione.

Il gaslighting di massa

Pur essendo stato osservato nelle relazioni interpersonali (amorose, familiari, amicali e professionali), diversi filosofi, sociologi e giornalisti usano il gaslighting anche per indicare le ripercussioni negative sul benessere psicofisico di strategie e tecniche di manipolazione di massa, tipiche, ad esempio, della propaganda politica. Le interpretazioni faziose, con il proliferare di fake news e di contronarrazioni, e il discredito degli avversari nelle campagne presidenziali negli Stati Uniti del 2016 e del 2020 hanno valso a Donald Trump il titolo di “gaslighter in chief”, il re dei manipolatori. Di gaslighting di massa è stato accusato anche Vladimir Putin per la propaganda russa sull’invasione dell’Ucraina.

E in Italia? Il commento di Paula

Rita Raucci, Claudio Lombardi e Paolo Mazzarella, fondatori del Collettivo Paula di Caserta, al gaslighting hanno dedicato due anni di studio e uno short film, “Io vivo per te”, diretto da Gaetano Ippolito; il corto, premiato dai festival internazionali, è stato già al centro di dibattiti pubblici e di riflessioni tra esperti in tre università, Parthenope, Tor Vergata e Milano-Bicocca: “È positivo che migliaia, forse milioni, di parlanti inglese di tutto il mondo – dichiarano Raucci, Lombardi e Mazzarella – si interessino del gaslighting. In Italia, i numeri non sono ancora così incoraggianti; tuttavia, dal 2016 ad oggi, il volume di ricerca su Google è decuplicato (fonte, Google trends), con picchi in tre Regioni: la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige. A differenza di Paesi come gli Usa, il termine è ancora correlato alla locuzione “violenza psicologica” in ambito privato e non alla retorica politica; segno di un’attenzione vera rispetto a un rischio concreto, quello della manipolazione nelle relazioni interpersonali, che travalica il genere, il ceto sociale e il grado culturale delle vittime”.

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