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Cronaca Casapesenna

“Non hanno aiutato il clan”. Svolta per il fratello del boss

La palla torna al Riesame che dovrà pronunciarsi nuovamente

L’aumento di capitale per il caseificio non è dimostrato che abbia aiutato il clan dei Casalesi. E’ quanto hanno messo nero su bianco i giudici della seconda sezione della Corte di Cassazione (presidente Antonio Prestipino) accogliendo, in parte, il ricorso presentato da Giovanni Nobis e Rita Fontana, rispettivamente fratello e cognata del boss dei Casalesi Salvatore Nobis, considerato vicino a Michele Zagaria.

Marito e moglie si erano visti sequestrare il caseificio Santa Rita per un aumento di capitale di 115mila euro che secondo i magistrati antimafia erano soldi provenienti dal fratello. Le accuse si basavano su alcune intercettazioni tra il boss ed i suoi familiari oltre alle dichiarazioni di un collaborante, ex compagno di cella di Nobis, al quale il boss avrebbe confidato di essere proprietario di un caseificio. 

Quello che non regge, però, secondo i giudici della Cassazione è l’aggravante mafiosa la cui eliminazione, come sottolineano anche loro, farebbe scattare la prescrizione del reato di intestazione fittizia.

“Il tribunale - scrivono - non è stato in grado di chiarire in alcun modo come e perché la intestazione fittizia di quote della società formalmente riferibile, per l'intero, a Giovanni Nobis ed a Rita Fontana fosse di per sé in grado di agevolare la attività ovvero il prestigio del sodalizio criminoso di cui era parte Salvatore Nobis”.

E, aggiungono i giudici, “il contenuto delle conversazioni intercettate dà conto, in realtà, di una vicenda che si è sviluppata ed ha risolto le sue dinamiche esclusivamente all'interno del nucleo familiare del Nobis sicché concludere nel senso che essa abbia "agevolato" anche il sodalizio è una affermazione priva di ogni riferimento al caso concreto e ai dati acquisiti nel corso della indagine rivelandosi dunque una mera tautologia (secondo cui l'accrescimento ovvero la salvaguardia del patrimonio del singolo finirebbe per riflettersi automaticamente quantomeno nel prestigio del sodalizio) che non può essere avallata”.

Per questo motivo la Cassazione dispone che “l’ordinanza impugnata va annullata su questo profilo (la contestazione dell’aggravante camorristica, nda) con rinvio al Tribunale di Napoli che dovrà riesaminare la questione alla luce dei principi sopra richiamati considerando, anche, le eventuali implicazioni sui tempi di prescrizione dei singoli reati ipotizzati a carico dei ricorrenti”. 

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