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Cronaca Casapesenna

"Sapevo dove era il bunker. Senza di me Zagaria non sarebbe stato arrestato"

Il poliziotto Vesevo, accusato di aver fatto sparire la pen drive dal covo del boss, si difende in tribunale: "Non l'ho mai vista. Ero nel corridoio a scavare"

"Senza di me Michele Zagaria non sarebbe stato arrestato". Lo ha dichiarato il poliziotto Oscar Vesevo, sotto processo con l'accusa di aver fatto sparire una pen drive dal covo di via Mascagni, a Casapesenna, dove nel dicembre del 2011 finì la latitanza del capoclan dei Casalesi. 

Vesevo, nel corso del suo esame da imputato svolto dinanzi alla corte presieduta dal giudice Nigro del tribunale di Napoli Nord, ha replicato alle domande del pubblico ministero Maurizio Giordano raccontando il blitz nel covo e l'arresto di Zagaria. "Ero nel corridoio e stavo scavando - ha precisato - Con me c'erano altre persone. Io sapevo dove si trovava nella villa il bunker in cui si nascondeva Zagaria". Una circostanza che sarebbe stata riferita anche nel corso di un lungo interrogatorio in sede d'indagini preliminari e confermata anche da altri esponenti delle forze dell'ordine. 

Ma l'accusa a carico di Vesevo non è quella di aver catturato il 'capo dei capi' della cosca di Casal di Principe ma di aver fatto sparire potenziali prove dal suo covo, almeno secondo quanto ha riferito nei suoi confronti Rosaria Massa, la padrona di casa dell'ultimo bunker di Zagaria. Un'accusa che è stata respinta con forza. "Non ho mai visto questa pennetta - ha dichiarato - Non mi sono mai mosso dal corridoio dove si stava scavando". 

Sull'accesso abusivo ai sistemi informatici in uso alla polizia, altra accusa contestata dalla Dda, Vesevo ha ribadito come quella fosse stata "un'attività delegata dal capo della squadra mobile su alcuni riscontri ad indagini che erano in corso". Anche perché, ha ribadito, "l'accesso non avviene in forma anonima ma con username e password che sono personali". 

Infine, è stata affrontata la questione delle truffe relative alla compravendita di case. "Sono stato io il primo ad essere truffato - ha ammesso Vesevo - Poi ho coinvolto altri ma sto provvedendo già ai risarcimenti". Il processo riprenderà a metà marzo. 

Per l’accusa Vesevo, difeso dall'avvocato Giovanni Cantelli, si sarebbe impossessato del supporto per poi rivenderlo. La persona che, secondo la Dda, avrebbe acquistato il supporto per 50mila euro da Vesevo è stato assolto da questa specifica accusa in un altro processo già celebratosi.  Ad accusare Vesevo soprattutto Rosaria Massa, moglie di Vincenzo Inquieto: i due coniugi ospitarono Zagaria nel covo in via Mascagni a Casapesenna dove fu stanato. Massa, nella testimonianza resa ad inizio 2021, riferì che il giorno della cattura di Zagaria vide Vesevo che prendeva la pen drive ma aggiunse che la stessa non era del boss ma di proprietà della figlia e che all’interno vi erano solo foto, musica e documenti. 

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