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Cronaca Casapesenna

“Imprenditori come bancomat per Zagaria”. Il ‘quarto fratello’ svela gli accordi

I particolari raccontati da Caterino e confermati da un altro collaboratore

La verve imprenditoriale di Michele Zagaria ha travalicato i confini della provincia di Caserta senza l’imposizione coattiva, quella della forza del clan dei Casalesi, ma attraverso accordi economici coi vari imprenditori che diventavano, un po’ alla volta, veri e propri soci del capoclan. E’ quanto mettono nero su bianco i giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Domenica Miele, Debora Angela Ferrara e Maria Gabriella Iagulli nelle motivazioni del processo Medea, dalle qual emerge uno spaccato molto interessante di quel ‘mondo parallelo’ che era stato creato dall’ultimo boss latitante dei Casalesi, prima del suo arresto.

Il 'quarto fratello' del capoclan

Ad aiutare nella ricostruzione è in particolare il collaboratore di giustizia Massimiliano Caterino, considerato il “quarto fratello di Zagaria”, che ha raccontato di fatti da lui vissuti in prima persona. “Egli - scrivono i giudici - ha evidenziato che quando non interveniva direttamente, non veniva reso edotto di decisioni e modalità operative nella gestione degli appalti di cui, dunque, non ha potuto fare elenchi e precisazioni, avendo potuto solo apprendere, più in generale, in questi casi, delle modalità operative di Michele Zagaria e dei suoi più stretti affiliati”.

In 3 comuni c'è "massimo rispetto"

Per questo motivo, dai giudici, Caterino viene considerato più che attendibile nella sua ricostruzione: da quando ha indicato i comuni sui cui insisteva fin dagli anni ’90 la forza della fazione di Zagaria (Casapesenna, San Marcellino e Trentola Ducenta, “dove vi era il massimo rispetto verso il clan”) fino ai rapporti diretti con gli imprenditori, che non dovevano essere definite vittime “in quanto erano soci ed in affari con Michele Zagaria”, aggiungendo che i soldi che versavano al capo clan “erano parte di un rapporto intenso e stabile che consentiva loro, per un verso di perdere lavori ed appalti grazie al clan e, per l’altro verso, di avere una tutela ed una protezione anche nei confronti delle altre organizzazioni criminali che operavano nei vari territori dove essi prendevano appalti, anche fuori dalla provincia di Caserta”. Questi imprenditori “pagavano una percentuale più bassa del dovuto sui lavori che svolgevano al clan competente per territorio, grazie alla loro mediazione, di cui Caterino si occupava personalmente”.

Imprenditori come bancomat

Lo stesso collaboratore ha poi ricordato che gli imprenditori “avevano un rapporto diretto con Zagaria, anche di frequentazione, di ospitalità durante la latitanza ed in ogni caso funzionavamo come dei bancomat, nel senso che se Michele Zagaria aveva bisogno di soldi, anche improvvisamente, questi imprenditori gli procuravano la liquidità necessaria”. Emblematico, in tal senso, l’episodio che vide protagonista l’imprenditore Pino Fontana che, secondo il racconto di un altro pentito, Michele Barone, consegnò 30mila euro a Zagaria dopo poche ore dalla ‘richiesta’ arrivata dal capo clan.

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