Angelo Grillo inizia ufficialmente il suo percorso da collaboratore di giustizia e lo fa con dichiarazioni messe nero su bianco davanti al pm della Dda Luigi Landolfi nei primi giorni di marzo e che sono state depositate nel corso del processo sul Centro Direzionale Vanvitelli di Marcianise. L’imprenditore di Marcianise con la passione per la politica (è stato consigliere comunale ed anche candidato alle Regionali con la Lega Nord) ha raccontato dell’operazione immobiliare che era stata messa in piedi da Bruno Buttone e Salvatore Belforte e di aver versato 70mila euro nelle mani dell’imprenditore Pasquale Lombardi per bloccare un appartamento che sarebbe stato realizzato.

L'aiuto del capoclan

Non solo. Perché dai verbali emerge che il tentativo di ‘aiuto’ che il capo clan Domenico Belforte gli avrebbe offerto: “Quando sono stato trasferito a Parma al regime 41bis - afferma Grillo - lui (Domenico Belforte, nda) si trovava al secondo piano, io al primo e la sua stanza affacciava nel luogo dove io facevo passeggio. In più occasioni mi ha detto che se avessi voluto, per aiutarmi, lui avrebbe testimoniato falsamente nel mio processo, scendo che avrebbe dichiarato di non conoscermi e di non aver mai avuto rapporti con me. In più occasioni per mostrarmi che di lui dovevo fidarmi, mi disse che lui poteva testimoniare per me ma che avrei dovuto revocare il mio avvocato”.

L'avvocato 'messaggero'

Ed è proprio sulla figura di questo avvocato che Grillo si sofferma, sottolineando come “la moglie di Mino Musone più volte mi aveva raccontato che si prestava a portare messaggi dal carcere, che sia il marito che altri rappresentanti del clan Belforte lo avevano utilizzato per mandare messaggi ai loro familiari o ad altre persone fuori dal carcere, oppure per ricevere messaggi all’interno”. Parole sulle quali adesso dovranno essere effettuate verifiche e cercare riscontri da parte della Dda di Napoli.