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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Mondragone

Cronista diffamato dal boss, processo a "porte chiuse" per La Torre

Il capoclan presente in aula con una super scorta. Tallino e Cronache si costituiscono parti civili

Cappotto cammello e tre agenti in borghese della polizia penitenziaria a fargli da scorta. Si è presentato così al tribunale di Napoli il boss dei "chiuovi" Augusto La Torre, imputato dinanzi al giudice monocratico di Napoli  Roberta Attena per diffamazione nei confronti del giornalista Giuseppe Tallino di Cronache di Caserta, definito dal capoclan di Mondragone "pseudo-giornalista" e "portavoce della Procura" nel corso di un'intervista. 

La Torre, detenuto a Campobasso, avrebbe potuto presenziare in videocollegamento ma ha voluto essere presente in aula. Nel corso della prima udienza il difensore di La Torre, per il quale è stata esclusa l'aggravante mafiosa, ha chiesto ed ottenuto dal giudice lo svolgimento del processo a porte chiuse per "la sicurezza del mio assistito e della parte offesa". Il legale ha poi sollevato l'eccezione di incompetenza territoriale chiedendo al giudice di disporre lo spostamento del processo ad Ivrea, in quanto l'intervista fu resa da La Torre proprio nel carcere piemontese, o in subordine a Santa Maria Capua Vetere, dove è stata presentata la denuncia. Sulla questione il giudice scioglierà la propria riserva nel corso dell'udienza fissata a metà aprile. 

Al processo Tallino, tuttora sottoposto a vigilanza dinamica da parte della Polizia di Stato, si è costituito parte civile con l'avvocato Francesco Parente. Ammessa la costituzione in giudizio anche del giornale Cronache di Caserta con l'avvocato Edoardo Razzino. Tra i grandi assenti, invece, gli organi rappresentativi della stampa italiana che non si sono costituiti al processo per la diffamazione di un collega da parte di un boss della camorra.

La Torre, noto come il boss psicologo per aver conseguito in carcere la laurea in psicologia, nel corso dell'intervista incriminata, resa a giugno 2018, non se la prese solo con il cronista che con coraggio di stava occupando di lui, ma anche con i pm accusati di accanimento investigativo nei suoi confronti e di mala gestione dei pentiti a suo danno. In particolare accusò il sostituto della Dda di Napoli Alessandro D'Alessio, responsabile di molte indagini sul clan La Torre di Mondragone. Un'intervista in cui La Torre sfogò tutta la sua frustrazione legata soprattutto al contenzioso sugli anni di carcere da scontare; è cosa nota che il boss stia cercando da tempo di uscire di cella, e ha avviato per questo un contenzioso al Tribunale di Isernia relativo al cumulo di pene.

In passato La Torre ha collaborato con la giustizia, sebbene poi sia stato "scaricato" dall'autorità giudiziaria, che ha definito la sua collaborazione riduttiva, probabilmente perché seppur La Torre si è autoaccusato di una cinquantina di omicidi, non ha mai fornito le indicazioni utili per far trovare il suo tesoro. Proprio la collaborazione ha permesso però al boss di avere sconti di pena e un solo ergastolo, quello inflittogli in primo grado nell'ottobre 2019 per la strage di Pescopagano (avvenne nel 1990 e morirono cinque persone); in virtù di quest'ultima condanna, e proprio per il timore che Augusto La Torre potesse darsi alla fuga prima che divenisse esecutiva la sentenza, approfittando di benefici carcerari, la Dda ha chiesto e ottenuto dieci giorni fa dal Gip di Napoli l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico del boss; un provvedimento che dovrebbe arginare per ora il rischio di uscita dal carcere di La Torre.  

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