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Cronaca Casagiove

Il carabiniere infedele aveva avvertito il boss degli arresti la sera prima

L'episodio svelato nelle motivazioni della Corte di Cassazione che hanno rigettato le richieste di scarcerazione di Cioffi e della moglie

La sera prima del blitz dello scorso aprile, Pasquale Fucito (capo dell’organizzazione criminale che gestiva lo spaccio di droga tra Caivano e l’hinterland) ed il suo sodale Raffaele Garofalo erano a casa del ‘carabiniere infedele’ di Casagiove Lazzaro Cioffi che venne a sapere degli imminenti arresti e ne condivise la notizia con loro. 

E’ quanto emerge dalle motivazioni con le quali la Corte di Cassazione ha respinto, a dicembre, la richiesta di scarcerazione avanzata dal militare casertano e dalla moglie di Maddaloni Emilia D’Albenzio, finita agli arresti domiciliari nell’ambito della stessa inchiesta (e poi spedita in carcere per il tentativo di inquinare le prove). 

“La sera prima dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare - si legge nelle motivazioni della Cassazione - Fucito e l'altro sodale Garofalo Raffaele si trovavano a casa del Cioffi e, non appena ricevuta la telefonata dal proprio comando, ne informava immediatamente i due, mettendoli sull'avviso circa la possibilità che si trattasse di arresti imminenti, come poi effettivamente verificatosi. A fronte di tale circostanza, che conferma ulteriormente ed attualizza l'intraneità del ricorrente e la solidità del rapporto con il Fucito ed i componenti del gruppo, coerentemente il Tribunale ha ritenuto ininfluente sia la sospensione dal servizio che la domanda di pensionamento avanzata dal Cioffi, essendo l'una connessa al presidio cautelare e l'altra ancora in corso di valutazione, attribuendo rilievo alla risalente e duratura messa a disposizione dell'associazione per fini di profitto, svelata dalle indagini”.

Anche perché, spiegano gli ermellini, Cioffi si è sempre operato per il gruppo di Fucito anche quando non era a lavoro. “Le condotte infedeli del Cioffi - scrivono - sono emerse dalle intercettazioni attivate nel periodo in cui era in congedo per motivi di salute, durate solo tre mesi perché le operazioni di intercettazione furono interrotte, essendo emerso che il Cioffi aveva appreso delle indagini ed aveva avvertito la moglie del Fucito. Già tale circostanza sconfessa l'asserita mancanza di prova della violazione dei doveri d'ufficio e della rivelazione di attività di indagine riservate al Fucito. Inoltre il ricorrente, pur essendo in congedo, si era attivato per interferire in una perquisizione in corso per evitare il sequestro di 18 mila euro, dovuti al Fucito per una pregressa cessione di droga, che proprio per tale motivo gli aveva chiesto di intervenire”.

Cioffi ha provato a far passare la tesi secondo la quale Fucito fosse in realtà un suo “confidente”, ma i giudici di Cassazione non vi hanno dato credito. “ale prospettazione, estremamente riduttiva, è stata motivatamente respinta dai giudici di merito, in quanto smentita dalla chiarezza dei colloqui intercettati, dalle precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che nelle prime trovano riscontro, nonché dall'anomalia del rapporto tra il ricorrente ed il Fucito, che travalica i limiti del rapporto confidenziale e si risolve in un reciproco scambio di favori, anche di natura strettamente personale, di cui fornisce plastico esempio l'affidamento del figlio del Fucito alla moglie del Cioffi per accudirlo, facendo da babysitter o da accompagnatrice alla moglie del Fucito”.

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