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Cronaca Casal di Principe

I giudici non credono alla 'dissociazione', carcere duro per l'uomo di Sandokan

Respinto il ricorso in Cassazione: "Può mantenere contatti con l'esterno"

Carcere duro confermato per Pasquale Apicella, 50 anni di Casal di Principe, soprannominato ‘o Bellomm. Il provvedimento del Ministero della Giustizia è stato ‘battezzato’ anche dalla Corte di Cassazione che ha respinto l’ultimo tentativo dell’affiliato al clan di Francesco Schiavone Sandokan per tornare al “regime ordinario”. 

Secondo i giudici deve “ritenersi persistente la pericolosità qualificata e la (sua) capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale” tenendo conto del “profilo criminale del detenuto, di tutto rilievo, stante la sua militanza all'interno del clan Schiavone, accertata da numerose sentenze di condanna definitive (relative anche a plurimi omicidi e fatti estorsivi), nemmeno interrotta dallo stato di restrizione come ben evidenziato dalla sentenza Spartacus III, a riprova della permanenza e dell'impermeabilità del vincolo associativo; il ruolo apicale svolto nell'organizzazione di appartenenza; la percezione dello stipendio corrispostogli dal clan almeno sino all'anno 2006, indice dell'alto rango rivestito in seno al sodalizio, come sottolineato dai collaboratori di giustizia (sentenza Corte di appello di Napoli del 7.10.2013); la verificata partecipazione agli affari criminali del gruppo di appartenenza anche dall'interno del carcere, come precisato dai collaboratori con precipua indicazione dei progetti criminosi ai quali il sottoposto aveva attivamente partecipato”. 

Ed a nulla sono valse neanche le “generiche dichiarazioni dissociative, rivelatesi sistematicamente retoriche - scrivono i giudici - attente ad evitare qualunque approfondimento del contesto criminale di appartenenza e incentrate sulla negazione dell'internità alla consorteria prima e, poi, del ruolo qualificato ricoperto all'interno della stessa; il ruolo di emissario svolto dalla moglie, Maria Giuseppa Cantiello, anch'ella condannata per partecipazione allo stesso consesso mafioso, latrice agli affiliati in libertà dei messaggi e delle istruzioni impartite dai congiunti detenuti; la perdurante capacità criminale della cosca mafiosa d'appartenenza, esaustivamente descritta e motivata nel decreto. Parametri plausibilmente stimati ampiamente idonei ad affermare l'attuale capacità del detenuto di mantenere collegamenti con la cosca, collegamenti che l'Apicella aveva già dimostrato di sapere e di volere mantenere”.

Fatti che hanno spinto la Corte di Cassazione a respingere il ricorso presentato da Pasquale Apicella ed a condannarlo anche al pagamento delle spese processuali.

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